MESSAGGIO PER IL RAMADAN 2019
«Quando il beato Francesco per la fede in Cristo volle entrare in un grande fuoco coi sacerdoti del Soldano di Babilonia; ma nessuno di loro volle entrare con lui, e subito tutti fuggirono dalla sua vista»
(Legenda Maior: IX, 8)
Da questa citazione della biografia di San Francesco, scritta da San Bonaventura da Bagnoregio su commissione dell’Ordine dei Frati Minori, trasse ispirazione forse Giotto nel descrivere l’undicesima scena del ciclo di affreschi della Basilica Superiore di Assisi.
Gli storici riconducono l’incontro fra San Francesco e il sultano ayyubide d’Egitto al viaggio che il Santo di Assisi intraprese durante la quinta crociata in Oriente e narrano l’offerta generosa di doni preziosi del sultano, stupito per la qualità ascetica del frate. In quell’occasione, si tramanda che San Francesco abbia preferito testimoniare la veridicità della sua fede passando incolume attraverso il fuoco, suscitando timore e ammirazione tra i presenti.
Per il Sultano, se non per i suoi sacerdoti, questa forma di testimonianza dovette essere di grande pregnanza. Essa richiama infatti molto direttamente il racconto coranico riguardante la testimonianza del giovane Ibrahim – il profeta Abramo – proprio al re Nimrod di Babilonia. Egli fu gettato nel fuoco a causa della sua esortazione ad abbandonare l’idolatria, e secondo la narrazione coranica, fu Iddio stesso a ordinare al fuoco di “essere fresco e dolce ad Abramo” (Cor. XXI, 69).
Si trattava quindi di un richiamo profondamente legato alla comune discendenza abramica, ma su un piano ancora più profondo proprio a quel carattere di hanifiyyah, di pura adorazione scevra da ogni commistione o idolatria, che il Patriarca Ibrahim ha insegnato a tutti i suoi discendenti.
Sono trascorsi quasi otto secoli da questo incontro e da questo viaggio e le comunità cristiana e musulmana rischiano di ricordare solo una raffigurazione artistica e un episodio storico e di non saper interpretare il valore reale dell’incontro e della testimonianza della santità anche in questi tempi.
Ai credenti sensibili non sarà infatti sfuggito che San Bonaventura non parla del Sultano d’Egitto ma del Sultano di Babilonia. Poco importa che con tale nome si intendesse storicamente Bagdad, sede dell’antico califfato islamico; ciò che invece il santo biografo di San Francesco ha voluto mettere in evidenza è la “Babele” che caratterizzava la corte del sultano, una corte dove regnava la confusione tra autorevolezza spirituale e gestione del potere temporale, una corte dove la ricchezza dei beni materiali faceva da contrasto alla “povertà” del frate cristiano, una corte dove la testimonianza di fede di San Francesco illumina, o piuttosto brucia, il vaniloquio dei consiglieri decaduti e spaventati del sultano.
L’insegnamento che i credenti sensibili possono trarre da questo segno e da questa testimonianza non si limita alle analisi geopolitiche tra Oriente e Occidente, ma deve richiamare tutti alla vera dimensione della fede, alla sua forza vittoriosa contro la “babele” degli egoismi e delle idolatrie.
Fu proprio questa santa testimonianza a illuminare, a stupire, a convertire il sultano al-Malik al-Kamil, anche se questa conversione non avrebbe mai assunto la forma di un’altra religione, di una religione diversa da quella islamica, cosa di cui si rammaricano banalmente alcuni storici filo-occidentali, ma si trattava di una conversione alla Verità nel ritrovamento di quella natura primordiale, “ad-din al-qayyim”, la Religione Assiale, di cui proprio San Francesco, “Franciscus Assis” come si legge in molte raffigurazioni tradizionali, diventa esempio e cardine per il Cristianesimo. Una conversione ad abbandonare il “sultanato” di questo mondo per “servire” con giustizia il mondo superiore, il mondo che San Francesco gli aveva fatto riconoscere e ricordare.
Imam Yahya Pallavicini
Presidente COREIS (Comunità Religiosa Islamica) Italiana